DIAMANTI, STORIA

Che cosa hanno in comune Marco Polo, Calderoni e Marilyn Monroe? I diamanti!

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MARCO POLO E I DIAMANTI INDIANI

Nel libro “Il Milione” di Marco Polo, il capitolo 171 “Del regno di Multifili” è tutto centrato sul racconto dei diamanti. Fu scritto nel 1298 e la zona descritta corrisponde a Masulipatam, attuale città dell’India nord-orientale. Considerate che gli indiani amano il diamante che, tutt’oggi, è la pietra simbolo dell’India. Nel racconto di Marco Polo i diamanti sono raccolti in tre modi diversi.

Marco Polo scrisse così:

“Multifili è un reame che l’uomo truova quando si parte da Maabar e va per tramontana bene 1.000 miglia… In questo reame si truovano i diamanti, e diròvi come. Questo reame àe grandi montagne, e quando piove, l’acqua viene ruvinando giú per queste montagne, e li uomini vanno cercando per la via dove l’acqua è ita, e truovane assai… Ancora li òmini ànno li diamanti per un altro modo: ch’elli v’ànno sí grandi fossati e sí perfondi che veruno vi puote andare; ed elli sí vi gíttaro entro cotali pezzi di carne, e gittala in questi fossati. La carne cade in su questi diamanti; e’ ficcansi ne la carne. E su queste montagne istanno aguglie bianche, che stanno per questi serpenti; quando l’aguglie sentono questa carne in questi fossati, si vanno colà giú e recala in su la ripa di questo fossato. E questi vanno a l’aguglie, e l’aguglie fuggono, e li uomini truovano in questa carne questi diamanti. Ed ancora ne truovano: ché l’aguglie sí ne beccano di questi diamanti co la carne, e li uomini vanno la matina al nido de l’aguglie e truovane co l’uscita loro di questi diamanti. Cosí si truovano i diamanti in questi tre modi, né in luogo del mondo non si ne truova se non in questo reame. E no crediate che i buoni diamanti si rechino qua tra li cristiani, ma portansi al Grande Kane ed agli altri re e baroni di quelle contrade ch’ànno lo grande tesoro…”.

I DIAMANTI CALDERONI 

Insuperabile esperienza con quasi 200 anni di storia. Per questo la Gioielleria Meneghetti di Venezia desidera portare in evidenza Calderoni, azienda leader nella ricerca, selezione e vendita di diamanti certificati e pietre preziose. Oggi, grazie a Calderoni, approfondiamo l’argomento diamanti da cinque diverse angolazioni:

1. LE 4 C DEI DIAMANTI

Il valore di un diamante è definito da quattro fattori, le 4C, dalle loro iniziali in inglese: Carat (Carati), Clarity (Purezza), Colour (Colore) e Cut (Taglio). Il peso è un fattore determinante nella valutazione di un diamante e si esprime in Carati (Ct): un carato corrisponde a 0,2 grammi. All’Oreficeria Meneghetti di Venezia Rialto trovate i diamanti Calderoni disponibili in infinite carature.

2. LA PUREZZA DEI DIAMANTI

La purezza (Clarity) stabilisce il grado di perfezione di un diamante e viene determinata dalla quantità di inclusioni presenti al suo interno. Le inclusioni possono avere diverse forme e la loro origine può essere naturale o generata nelle fasi di taglio della pietra. Solo le pietre di altissima qualità vengono selezionate per diventare diamanti Calderoni.

3. LA SCALA CROMATICA DEI DIAMANTI

I diamanti sono classificati in base alla saturazione cromatica. Le pietre più rare sono quelle caratterizzate da una quasi totale assenza di colore. Il sistema di classificazione utilizza le lettere dell’alfabeto anglosassone e si basa su una scala di gradazione compresa tra la D (diamanti perfettamente incolori e rari) alla Z (diamanti con colorazione intensa). Calderoni seleziona i propri diamanti con estrema cura scegliendo quelli che si contraddistinguono per l’elevata qualità cromatica.

4. IL TAGLIO DEI DIAMANTI

Il taglio è una delle caratteristiche più importanti di un diamante, poiché indica sia le proporzioni sia la forma in cui è tagliata la pietra, incidendo sul suo valore. Il taglio viene realizzato in modo da valorizzare la qualità della gemma ed enfatizzarne la lucentezza. L’Oreficeria Meneghetti propone i diamanti Calderoni poiché tratta esclusivamente diamanti con taglio brillante (round brilliant cut), caratterizzato da 57 faccette disposte in un preciso ordine, al fine di ricevere e diffondere la luce e la brillantezza nella pietra.

5. ETICA E DIAMANTI

L’Oreficeria Meneghetti propone i diamanti selezionati da Calderoni perché sono etici e sostenibili. Infatti, Calderoni sceglie con cura i propri fornitori tra il ristretto nucleo di aziende che operano in rispetto dei principi etici del Kimberley Process, un’iniziativa internazionale volta a garantire che i profitti ricavati dal commercio di diamanti non vengano usati per finanziare guerre civili.

I DIAMANTI DI MARILYN MONROE

Per promuovere l’uscita del film di Howard Hawk “Gli uomini preferiscono le bionde“Marilyn Monroe indossava diamanti e il famoso Moon of Baroda, diamante giallo da 24 carati a forma di pera. L’anno scorso è stato venduto per 1,3 milioni di dollari. Nel film Marilyn Monroe cantava “Diamonds Are a Girl’s Best Friend”, ovvero “I diamanti sono i migliori amici di una ragazza”.

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Promozioni, Vacanze

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Storia di Venezia

Ori, argenti e preziosi a Rialto: la Serenissima e il Fondaco dei Tedeschi a Venezia

C’è un luogo a Venezia che per molti secoli è stato centro di primaria importanza economica. Un luogo che ha ospitato merci preziose e mercanti di ori e argenti.

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Giovanni Antonio Canal detto il Canaletto – Fondaco dei Tedeschi da nord del Ponte di Rialto (1735)

Il Fondaco dei Tedeschi nacque a Rialto per volere della Serenissima come sede di scambio e stoccaggio delle merci per gli Alemanni. A dire il vero gli orefici in Venezia iniziarono ad operare prima, sembra dal 1015 e come citati nelle convenzioni fra il doge Ottone Orseolo e gli Eracleani.

Proprio a Rialto gli orefici si svilupparono, grazie all’abbondanza di materie prime che provenivano dalle miniere del centro Europa e al ruolo dei Tedeschi. Infatti, nell’area di Rialto la presenza dei Tedeschi (che includevano anche gli Austriaci, i Boemi e gli Ungheresi) era già stata censita ai tempi del Doge Domenico Morosini tra il 1148 e il 1156.

La storia del Fondaco dei Tedeschi nasce nel 1222. In quell’anno la Serenissima aveva acquistato dalla Nobile famiglia Zusto il terreno presso Rivoalto per far sorgere un Fontego destinato a case dei Mercanti di Nazionalità Allemanna e deposito doganale delle loro mercanzie. “Fonticum Comunis Veneciarum ubi Teitonici hospitantur”, ovvero come “Fondaco della Comunità Veneziana, dove i Tedeschi rimangono”.

Il primo Fondaco dei Tedeschi fu progettato da Abilinus Teutonicus, architetto tedesco assunto dal governo veneziano. La struttura ospitava permanentemente oltre 100 mercanti tedeschi. La Repubblica di Venezia assunse nelle proprie mani la direzione del Fondaco mediante i nobili funzionari amministrativi chiamati Visdomini. Essi furono uno dei primi uffici istituiti dalla Serenissima per il controllo delle merci in entrata ed uscita. Dal 1268 avevano la competenza sul Fondaco dei Tedeschi, soprintendevano tutti i negozi della casa di commercio, esercitavano potere disciplinare, riscuotendo i canoni per importazioni ed esportazioni.

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Nel celebre quadro Miracolo della Croce a Rialto, dipinto nel 1494 da Vittore Carpaccio, sulla destra si scorge la forma medievale quattrocentesca del Fondaco dei Tedeschi

I mercanti Tedeschi, in attesa di scendere al Fondaco di Rialto, avevano a Treviso i loro magazzini di terraferma. Le merci scendevano dalla direttrice Ampezzana-Belluno-Feltre e dalla Valle dell’Adige per Trento e Primolano. Tra le altre vie per scendere fino in Laguna di Venezia, l’Allemagna partiva da Innsbruck e oltrepassava Sterzino, Brunico, Dobbiaco, Ampezzo, San Martino, Ospitale, Santa Croce, Serravalle, Conegliano, Treviso e quindi Mestre e Venezia. Oppure seguivano la Via di Tarvisio che andava ad Aquileia e Palmanova provenendo dalla Croazia e dall’area Balcanica.

Per comprendere l’importanza economica del Fondaco dei Tedeschi, verso il 1472 il volume d’affari si aggirava attorno al un milione di ducati annui.

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Nella famosa Carta di Venezia del 1500 di Jacopo de Barbari si vede il Fondaco prima del grande incendio del 1505 e della ricostruzione

Dopo il devastante incendio del 1505, con gran solerzia di tempi il Senato della Serenissima diede incarico di rifare il Fondaco a Gerolamo Tedesco.

Va sottolineato che tra i mercanti d’Oltralpe c’erano due nette distinzioni. Da una parte i Tedeschi da Norimberga e dalla Germania Alta provenienti da Norimberga, Basilea, Strasburgo, Spira, Worms, Magonza, Francoforte, Lubecca e città limitrofe. Dall’altra c’erano i Tedeschi quelli della Germania Bassa provenienti da Colonia, Ratisbona, Augusta, Ulma, Costanza, Vienna, Linz, Gmunden, Salisburgo e Lubiana.

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Nell’immagine Domus Germanorum Emporica Venetiis, realizzata nel 1616 dall’incisore tedesco Raphael Custos, si può notare com’era l’attività nel cortile del Fondaco

I metalli preziosi del Fondaco erano di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’economia veneziana. Basti pensare che la Zecca veneziana nel XV secolo coniava fino a due milioni di monete all’anno tra ducati d’oro e d’argento. Nel 1773 gli orefici e gioiellieri erano 415, i tiraoro e battioro 476, i diamanteri da tenero 75 e quelli da duro 26.

Con l’occupazione di Napoleone dal 1806 il Fondaco dei Tedeschi divenne dogana e poi sede delle Poste Italiane agli inizi del Novecento. Di recente è stato oggetto di una completa ristrutturazione che lo ha trasformato in un centro commerciale di lusso.

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Fonti

  • “I Visdomini del Fontego dei Tedeschi”, Tesi di Laurea di Silvia Pazzaglia
  • “Verso una forma collettiva della città”. Svenja Klett, Università di Edimburgo
  • stedrs.blogspot.com
  • Wikipedia
Storia di Venezia

Tra Rialto e San Marco: oro, gioielli e orefici nella tradizione di Venezia

La tradizione orafa veneziana è tra le più famose al mondo. La sua antica storia si snoda tra Rialto e San Marco lungo un percorso che rende Venezia unica al mondo.

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Parlare di oro e preziosi a Venezia ci porta in primo luogo nella Basilica di San Marco, alla gigantesca Pala d’Oro che misura 348×140 centimetri. Si tratta di un grande paliotto in oro, argento, smalti e 2000 pietre preziose che adorna l’altare maggiore della Basilica.

La meravigliosa opera orafa di arte bizantina raffigura gli eventi della vita di Cristo e di San Marco. Venne ordinata dal doge Pietro Orseolo I negli anni 876-878, in seguito fu arricchita dai dogi Ordelaf Falier nel 1105 e poi da Pietro Ziani nel 1209. Dopo quasi 500 anni, grazie all’artista Giampaolo Boninsegna, dal 1345 assunse la forma tramandata fino ai giorni nostri.

A Venezia veniva importato e lavorato tantissimo oro. La Zecca veneziana nel XV secolo coniava fino a due milioni di monete all’anno tra ducati d’oro e d’argento. In origine aveva sede a Rialto e fu trasferita a San Marco nel 1277.

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Rialto era la zona strategica per le lavorazioni artigianali, il commercio e la formazione, tanto che la Scuola degli Orefici si nota ancora oggi in Campo di Rialto Nuovo. Nel testo del Tassini si ricorda quel lontano 23 marzo 1331, laddove il Maggior Consiglio aveva ordinato che gli orefici non potessero aver bottega, né mercanteggiare in lavori d’oro e d’argento in luogo diverso dall’isola di Rialto. Il luogo esatto era la Ruga dei Oresi che il Sabellico (De Situ Urbis), parlando di questo tratto di città, lo vorrebbe chiamare “degli Anelli”, pei molti anelli che vi si fabbricavano.

Gli orefici in Venezia fiorirono fino da tempi antichissimi, trovandosi in una carta del 1015, ed in certe convenzioni fra il doge Ottone Orseolo e gli Eracleani, sottoscritti alcuni aurifices. Tuttavia si ridussero in corpo soltanto nel 1300, come nota il ms. d’Apollonio Dal Senno. Essi erano uniti ai Gioiellieri, avendo per colonnello anche i Gioiellieri da falso, ed i Diamanteri, e riconoscendo per protettore S. Antonio Abbate, a cui, sul disegno di Girolamo Campagna, eressero in chiesa di S. Giacomo di Rialto un magnifico altare, con prossimo sepolcro, il diritto al quale fu loro accordato il 9 aprile 1601 col patto che offrissero ogni anno due pernici al doge nel giorno di S. Stefano.

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Chi voleva essere ammesso a quest’arte, dalla quale erano assolutamente esclusi gli Ebrei, doveva subire una prova della sua idoneità al ramo del lavoro prescelto. Nel 1693 i rami erano i seguenti: legature di gioje alla Veneziana ed alla Francese; catenella d’oro; filigrani, catena d’oro massiccia; argento alla grossa, come coppe e bacini, calici, ed altri arredi sacri; posate, minuterie, bottoni di filo; sbalzo a ceselli. Dovevasi affaccettare il diamante, il cristallo di monte, il rubino, lo smeraldo, ed il granato, fondendosi a luto ed a staffa, dipingendosi a smalto, ed intagliandosi a bolino.

Nelle statistiche veneziane del 1773 gli orefici e gioiellieri erano 415, i tiraoro e battioro 476, i diamanteri da tenero 75 e quelli da duro 26. Gli oresi veneziani erano particolarmente specializzati nella realizzazione di monili con la tecnica della “filigrana”, detta appunto opus veneciarum o meglio opus venetum ad filum o ancora de opere venetico ad filum, con la quale fabbricavano manini o entrecosei (intrigosi), collane e bracciali composti di minute maglie d’oro.

La produzione era molto fiorente sia per l’esportazione e sia per il consumo interno: oltre ai monili femminili, gli oresi curavano anche la produzione degli arredi sacri delle chiese e i suppellettili destinati alle case patrizie (vasellame, posate, ecc.); spesso essi erano anche armaioli, fabbricando pugnali e scudi di grande valore. L’Arte eccelse anche nel taglio del diamante, capacità espletata dai diamanteri con tecniche raffinate, più tardi copiate ed infine adottate dagli olandesi. Per la cronaca, fu proprio un diamanter veneziano, tale Ortensio Borgisi, che tagliò “a rosa” il famoso “Gran Mogol”, pietra scoperta alla metà del ‘600.

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Fonti