La tradizione orafa veneziana è tra le più famose al mondo. La sua antica storia si snoda tra Rialto e San Marco lungo un percorso che rende Venezia unica al mondo.
Parlare di oro e preziosi a Venezia ci porta in primo luogo nella Basilica di San Marco, alla gigantesca Pala d’Oro che misura 348×140 centimetri. Si tratta di un grande paliotto in oro, argento, smalti e 2000 pietre preziose che adorna l’altare maggiore della Basilica.
La meravigliosa opera orafa di arte bizantina raffigura gli eventi della vita di Cristo e di San Marco. Venne ordinata dal doge Pietro Orseolo I negli anni 876-878, in seguito fu arricchita dai dogi Ordelaf Falier nel 1105 e poi da Pietro Ziani nel 1209. Dopo quasi 500 anni, grazie all’artista Giampaolo Boninsegna, dal 1345 assunse la forma tramandata fino ai giorni nostri.
A Venezia veniva importato e lavorato tantissimo oro. La Zecca veneziana nel XV secolo coniava fino a due milioni di monete all’anno tra ducati d’oro e d’argento. In origine aveva sede a Rialto e fu trasferita a San Marco nel 1277.
Rialto era la zona strategica per le lavorazioni artigianali, il commercio e la formazione, tanto che la Scuola degli Orefici si nota ancora oggi in Campo di Rialto Nuovo. Nel testo del Tassini si ricorda quel lontano 23 marzo 1331, laddove il Maggior Consiglio aveva ordinato che gli orefici non potessero aver bottega, né mercanteggiare in lavori d’oro e d’argento in luogo diverso dall’isola di Rialto. Il luogo esatto era la Ruga dei Oresi che il Sabellico (De Situ Urbis), parlando di questo tratto di città, lo vorrebbe chiamare “degli Anelli”, pei molti anelli che vi si fabbricavano.
Gli orefici in Venezia fiorirono fino da tempi antichissimi, trovandosi in una carta del 1015, ed in certe convenzioni fra il doge Ottone Orseolo e gli Eracleani, sottoscritti alcuni aurifices. Tuttavia si ridussero in corpo soltanto nel 1300, come nota il ms. d’Apollonio Dal Senno. Essi erano uniti ai Gioiellieri, avendo per colonnello anche i Gioiellieri da falso, ed i Diamanteri, e riconoscendo per protettore S. Antonio Abbate, a cui, sul disegno di Girolamo Campagna, eressero in chiesa di S. Giacomo di Rialto un magnifico altare, con prossimo sepolcro, il diritto al quale fu loro accordato il 9 aprile 1601 col patto che offrissero ogni anno due pernici al doge nel giorno di S. Stefano.
Chi voleva essere ammesso a quest’arte, dalla quale erano assolutamente esclusi gli Ebrei, doveva subire una prova della sua idoneità al ramo del lavoro prescelto. Nel 1693 i rami erano i seguenti: legature di gioje alla Veneziana ed alla Francese; catenella d’oro; filigrani, catena d’oro massiccia; argento alla grossa, come coppe e bacini, calici, ed altri arredi sacri; posate, minuterie, bottoni di filo; sbalzo a ceselli. Dovevasi affaccettare il diamante, il cristallo di monte, il rubino, lo smeraldo, ed il granato, fondendosi a luto ed a staffa, dipingendosi a smalto, ed intagliandosi a bolino.
Nelle statistiche veneziane del 1773 gli orefici e gioiellieri erano 415, i tiraoro e battioro 476, i diamanteri da tenero 75 e quelli da duro 26. Gli oresi veneziani erano particolarmente specializzati nella realizzazione di monili con la tecnica della “filigrana”, detta appunto opus veneciarum o meglio opus venetum ad filum o ancora de opere venetico ad filum, con la quale fabbricavano manini o entrecosei (intrigosi), collane e bracciali composti di minute maglie d’oro.
La produzione era molto fiorente sia per l’esportazione e sia per il consumo interno: oltre ai monili femminili, gli oresi curavano anche la produzione degli arredi sacri delle chiese e i suppellettili destinati alle case patrizie (vasellame, posate, ecc.); spesso essi erano anche armaioli, fabbricando pugnali e scudi di grande valore. L’Arte eccelse anche nel taglio del diamante, capacità espletata dai diamanteri con tecniche raffinate, più tardi copiate ed infine adottate dagli olandesi. Per la cronaca, fu proprio un diamanter veneziano, tale Ortensio Borgisi, che tagliò “a rosa” il famoso “Gran Mogol”, pietra scoperta alla metà del ‘600.
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Fonti
- Curiosità veneziane, di Giuseppe Tassini – 1872
- Biblioteca Nazionale Marciana
- VeneziaMuseo
- Comune di Venezia
- Wikipedia